Bandiera

La guerra è terribile. Quando scoppia  muta la vita di una nazione e sconvolge quella delle famiglie. Sono i giovani anzitutto a pagarne lo scotto, poiché è su di loro che s’imbatte la necessità d’infoltire i reparti alle armi ed essere arruolati. Devono lasciare, infatti, il lavoro o gli studi per obbedire alla chiamata alle armi per far fronte alle esigenze operative sui vari fronti di battaglia. E con i giovani, coloro che vengono coinvolti nelle gravi vicende di una guerra sono i genitori che assistono alla partenza dei figli, portati lontani  a rischiare anche la vita.E’ allora che le contingenze costringono genitori e figli a mantenere i contatti con i mezzi di comunicazione. Oggi il telefonino diventa prezioso in questi casi, ma un tempo, durante la prima e la seconda guerra mondiale, era solo la “lettera” che permetteva lo scambio di notizie fra genitori e figli. Il clima particolare che si instaurava tra padre, madre e figlio facilitava assai l’espressione di un affetto sempre nutrito, ma a volte custodito in famiglia quasi con pudore. La lontananza e le difficili circostanze in cui si trovava il figlio facilitavano la tenerezza, per cui molte volte le lettere dei soldati al fronte muovevano, leggendole, alla commozione. 

Nella presente pubblicazione vogliamo riportare brani di lettere di un alpino arruolato nel 1940. Sono del caporal maggiore LUIGI FLORA FU LUIGI, nato a Paluzza il 6 ottobre 1913 ed arruolato nell’8° Regg.to Alpini. Egli scrive dai fronti di battaglia (della Grecia, prima, e poi della Russia) alla mamma Santina, che vive vedova a Paluzza in Via Roma. Purtroppo Luigi non rivedrà più la cara mamma poiché sarà disperso sul fronte Russo nel duro combattimento del 19 gennaio 1943. E’ questo un ricordo e un omaggio che vogliamo rendere a Lui e con Lui a tutti i Soldati che dai luoghi, ove si poteva morire con estrema facilità, esprimevano a papà e mamma, lontani, con tutto il cuore un affetto, a volte nascosto quando erano vicini in famiglia. 

Luigi è partito da Udine per il fronte greco il 7 marzo 1941 ed il 28 dello stesso mese così scrive alla mamma...

“Dalle terre oltremare, tra una montagna rocciosa, fra mezzo al fuoco nemico vigliacco, vive il vostro caro Gigi in ottima salute, grazie al buon Dio. Dal giorno della mia partenza da Udine il giorno 7 non ebbi mai notizie da nessuno, da voi specie... certo son sicuro mabbiate scritto tante volte, chissà poi dove sono fermate. Io mamma mia ogni due tre giorni  e un periodo di tempo che sempre vi scrivo...”. 

E qui non può fare a meno di una significativa riflessione...

Oh mamma mia quanto è un nulla la nostra cara vita da quello che vedo, quello che sento e quello che provo... mai come vi dico potrò scordare questo. Dio mio: ve lo chiedo con le lacrime agli occhi, fatemi ancora riabbracciare tutti i miei cari, tanto in voi ci spero”. 

Il 18 aprile seguente Luigi così scrive:

“Mamma cara ...vi dico che sono stanco dato che siamo rientrati in base; siamo partiti il giorno 12 sera dal monte costì chiamato Golico, dopo un mese  meno giorni. Oggi 17 si parte per altro fronte, ma mi dicono mamma mia che i Greci stanno ritirandosi, chissà poi se è vero; ad ogni modo prenderò i giorni come sempre con Santa rassegnazione...”. 

Ma questa è una lettera sofferta poiché Luigi dice...

“..Mamma mia questa lettera e quattro volte che la prendo in mano per terminare, ma perdonatemi non è negligenza mia, un pò la stanchezza un pò le addunate, così i giorni passano...”. 

...e la speranza non viene mai meno...

“...per noi Iddio ci aiuterà e la corona la tengo cara, mamma mia, non dubitate!” 

Questa lettera è del 25 febbraio 1942 e in essa affiora in entrambi la nostalgia...

“Mamma cara sento prima di tutto che tanto mi desiderate; la vostra nostalgia nel vedermi, miei cari, ugualmente il vostro caro Gigi la tiene, ma purtroppo mamma mia bisogna avere pazienza ed attendere quel benedetto giorno, quando naturalmente qualcuno si muoverà di coscienza, ma vi dico che quello che vorrei spiegarvi non posso, voi mi capite tutti vero?...” 

E ringrazia la mamma che (nientemeno) gli ha acquistato mezzo maiale...

Vi ringrazio mamma, in special modo del vostro bel pensiero sempre in mio riguardo, avete pensato anche di comprarmi  il mezzo maiale, che avete fatto vi dico molto bene, mi dispiace che per me sarà lunga ancora la mia arrivata da voi; non importa mamma vi dò sempre coraggio...”. 

Ma ecco, si accorge che nella sua ultima lettera si è dimenticato di qualcosa. che  gli occorre  e allora...

“...mi sono dimenticato di dirvi che mi occorre un sciugamano, ma non importa vuol dire sarà in altri incontri: qui costano un occhio della testa, lo pagato anche cento e più lire di spugna, dunque figuratevi; di altre cose poi non vi parlo; il vino lo pagato al litro £ 12 e all’ora vi dico il vero non conviene prendere niente...se si va dietro la bocca si mangia palazzi, vi pare? ...”.  ( Compare qui la parsimonia del Carnico!) 

E dalla Grecia si passa con la “JULIA” sul Fronte della Russia.

Gigi scrive il 23 agosto 1942. Egli spera di sfuggire ai combattimenti, ma se questo non avvenisse, si dà coraggio

”...e come sapete le cose vanno molto bene; anzi si spera a non partecipare nei famosi disagi di combattimento e se ciò averasse, dovete pensare, non ho paura di nulla e se la morte in caso mi prende lo sarà per mio dovere di vero italiano e voi mamma mia non piangetemi, tanto nulla vi giova, fate come me, vivete contenta...” 

E Gigi, pur nei disagi del fronte, non dimentica i lavori della mamma...

“...mamma mia avete finito in montagna? Spero di sì e che vabbia aiutato la Sunte e la Severina; son partito contento sapendo che avevate un po di vino, così vi abbia dato un po di spirito e di forza in tutte le vostre facende...” 

Il 18 ottobre 1942 è giorno di festa per Gigi, perchè ha ricevuto una lettera, anche se commenta con fine ironia la puntualità della posta...

“Oggi è giorno di festa come dico, ebbi cara ricevuta una delle vostre belle e desiderate lettere, le attendo alle volte come il messia, naturale la colpa non è vostra bensì la grande lontananza e la causa di chi la tratiene... Questa l’avete spedita il 1.10 per via aerea; dunque e stata la belleza di 16 giorni ad arrivar da me, si vede: invece di prender l’aereo ha desiderato prendere la tradotta come purtroppo son venuto io: bè pazienza.. se nulla si riceverebbe sarebbe ben peggio, vero?...”. 

E gioisce sapendo che la mamma sta bene di salute...

...sento la vostra salute e ottima unite le care bimbe, questo per mè è caro, quando sento così mi rasserena il cuore...Parlate la sera a letto con la cara piccina(       ):  chissà comè, chissà colà del povero Gigi. Cara mamma , finora vi dico non mi posso lagnare..”. 

Presenta, quindi, tutte le comodità di cui ...gode!

“Per dormire ci siamo sistemati  abbastanza bene, mi pare d’avervi già detto che ho un rifugio sotto terra, con le brandine ben messe, senza umidità, poca luce magari, ma tutte le comodità non si può avere, vero?Dunque in questo rifugio siamo in otto, così vi dico che sto benino, magari mi lasciassero  qui sino al termine di questi famosi diagi, col mangiare anche del tutto non mi posso lagnare   ed anche basta quando non ce di più ...”. 

Gigi ha tanta pazienza, come si vede, però c’è qualcosa che anche a lui non va proprio a genio!

“ Acqua poi , Dio ci scampi i liberi, e scarsa, scarsona: magari io non la bevo mai, sapendo che non è buona...mi dispiace  ciò li pidocchi di questo poi non parliamo, che sono di tutti i colori, insomma non cenò tanti; ma perme sono quelli che bastano per seccarmi, vi dico il vero, ne mangerei un piatto pur sapendo mi vadino fuori delle scatole , e le mie mani come il farch messe sono, posso contare le volte che ho potuto lavarmi, ben poche....”. 

E qui, prima affiora ancora la pazienza, ma poi esce con una sentita considerazione sugli imboscati...

“... Pazienza, mamma,che si à da fare? Siamo nati per lottare e lotteremo  sino alla fine; certo certuni sono a far soldi, e certuni a far pidocchi, passa una bella differenza, ma insomma son contento lo stesso, basta che il buon Dio mi faccia far ritorno da voi sano e salvo...”. 

E, per finire, occorre un po’di tabacco..

Mamma vedete se potete farmi avere del tabacco che sono alla fine, trinciato forte e cartine per via aerea se possibile e se no niente: certuni l’han già preso...”. 

Ed ecco l’ultima lettera in nostro possesso: è del 9 gennaio 1943, 10 giorni prima di essere disperso in combattimento. 

Gigi  ha tante cose da dire: ha bisogno anzitutto di ...dormire...

“...avrei tanto bisogno di dormire ma per rispondere alla vostra cara ricevuta non bado a nulla...” 

...ringrazia per il ricordo costante...

“...Vi ringrazio, mamma mia, quanto mi sapete ricordare coi vostri scritti,  sarete quasi orba a forza di stare sempre sottoposta a mio riguardo...” 

 ...non manca neanche un pensiero alla mobilia nuova, pronta a casa...

“... ho sentito per la mobilia, che tanto bellina, vorrei sperare anch’io arivar a vederla e goderla con una buona ragazza come tanti e il caro fratello trovò, speriamo...” 

...ed, infine, capisce di trovarsi all’inferno, ma confida ancora in Dio...

“...Mamma mia vi dirò anche che è arrivato quel pue di Trep, il quale mi consegnò il tabacco; questo è arrivato in brutta località, al confronto di casa, qui è come uscir di casa ed andare all’inferno, ma sempre coraggio, non temete, Dio mi aiuterà anche stà volta...”. 

E dieci giorni dopo, il 19 gennaio 1943, in un aspro combattimento i sogni e le speranze di Gigi s’infrangeranno poichè non uscirà vivo dalla  dura battaglia che infuria nella steppa.Rimarrà a casa solo mamma Santina ad aspettare ancora, ma invano, le lettere di Gigi e non diventerà più “orba” a leggerle con commozione, così dolci e calde d’affetto com’erano! Ma Gigi resterà sempre nella mente e nel cuore di mamma Santina e lei accompagnerà ancora con la preghiera, con tenacia come se fosse vivo, il figlio disperso nelle steppa della lontana e fredda Russia.  

L’Asilo Infantile di Rossosck 

E dopo tanti anni dai luttuosi ed eroici avvenimenti accaduti negli anni 1942 e 1943 in terra di Russia, gli Alpini sono ritornati recentemente in questa terra che vide il loro valore ed il loro sacrificio. E sono tornati con segni di solidarietà, com’è nel loro costume, erigendo in memoria dei commilitoni Caduti un bell’Asilo Infantile, costruito dal Cantiere Operazione “Sorriso” a Rossosck. A ricordo di quest’opera di fratellanza e di pace, riproduciamo la bella 

“Preghiera degli Alpini a Rossosck” 

In questa terra di Russia
ove l’Associazione Nazionale Alpini
ci ha chiamati a vivere una esperienza 
di umana e cristiana solidarietà,
donaci, o Signore, il coraggio,
la generosità e lo spirito di adattamento 
che hanno sempre caratterizzato gli Alpini
di tutta Italia!
Fa che oggi la nostra presenza in terra di Russia
sia attiva e discreta, costante e serena,
efficace e umana.
Fa che ciascuno di noi
svolga oggi con responsabilità la sua parte,
lieto di essere una piccola tessera di un mosaico
dove tu, Signore, scrivi a grandi lettere
il messaggio della tua bontà.
Infine ti chiediamo:
tu che hai promesso di non lasciare senza premio
chi per amor tuo
offrirà un bicchiere di acqua fresca
ai più deboli e indifesi,
riserva la ricompensa che tu solo puoi dare
alla nostra fatica!
Così sia.   

 

Scescè, Ugo e...il Colonnello 

Eravamo nel settembre 1967, anni in cui la “guerra fredda” tra Est ed Ovest riscaldava gli animi degli appartenenti ai vari partiti politici. Il panorama era vario: Muro di Berlino, aerei spia U2, imperialismo americano, tirannia aggressiva dell’U.R.S.S., crisi di Cuba. La situazione creava mille difficoltà per recarsi all’Est; c’era il divieto di fotografare le zone di confine; si vedevano spie dappertutto; le caserme erano piene di militari ovunque; i radar captavano qualsiasi movimento anomalo di armati: sembrava che dovesse iniziare un nuovo periodo bellico.C’era nell’aria un senso d’incertezza e di pericolo imminente. In quest’atmosfera due baldi alpini carnici, precisamente Paluzzani, un certo Walter Nodale (per gli amici Scescè!) e Ugo Pittino sicuramente non avvertivano questa tensione e, reduci dal CAR (Centro Addestramento Reclute), si trovarono destinati alla caserma “La Marmora” di Tarvisio per continuare il servizio militare. C’era un guaio: l’aria di casa si sentiva troppo vicina per non essere tentati di fare una scappatina a Paluzza alla prima occasione che si presentasse.La regola militare, però, era che senza permesso speciale non si poteva lasciare il Presidio (in questo caso Tarvisio), ma loro, falsamente, già si vantavano con i commilitoni d’aver ottenuto quanto desideravano e, un bel giorno, se ne andarono tranquillamente al loro amato paese.Passarono certamente una bella domenica, ma nel pomeriggio era necessario ripartire in tempo per trovare alla Carnia la coincidenza del treno per Tarvisio. Chiesero a un esperto di orari del momento, Duilio Cescutti allora taxista, la giusta coincidenza e quindi si fecero portare da Giulio, fratello di Ugo, fino a Stazione di Carnia. Qui cominciarono i guai: il treno delle 19 era già partito e bisognava aspettare quello delle ore 21, ma sarebbero arrivati tardi a Tarvisio. Cosa fare? Breve consulto. Siccome allora era molto praticato “l’autostop”, quella era l’unica via di scampo e così si misero a “spollicciare” per strada. In breve la fortuna li assistette perchè trovarono una buon’anima che li portò fino a Pontebba e così il peggio era fatto. Bisognava, ora, proseguire fino a Tarvisio.Ripresero a “spollicciare”, ma il traffico, facendosi buio, diminuiva a vista d’occhio e la scadenza dell’orario per il rientro in caserma si stava avvicinando sempre più. Erano pensierosi poiché le punizioni erano severe a quei tempi e, poi, che figura avrebbero fatto con gli altri commilitoni? Ancora breve consulto: l’unica cosa da fare era di mettersi im mezzo , o quasi, alla strada e qualcuno in tal modo, perbacco, per amore o per forza avrebbe dovuto fermarsi!Il trucco funzionò poiché di lì a poco si trovarono sistemati, come principi, su una FIAT 1100.Ugo si sistemò nella parte posteriore e Scescè  prese posto davanti e, tanto per seguire la moda del tempo, si mise con le ginocchia in tensione sul cruscotto della macchina a mo’ di “Gioventù bruciata”. I due baldi alpini, dunque, con la loro bella divisa in ordine, ormai si trovavavno a proprio agio e specialmente Scescè era ben disposto al colloquio che l’autista sconosciuto aveva iniziato.“In quale caserma siete?”  chiese l’autista. “Siamo Esploratori nella caserma “La Marmora” di Tarvisio”  rispose Scescè. ”Ah, allora siete in permesso!”  riprese l’autista gentile. “Macchè permesso!. Siamo andati a casa a Paluzza e adesso dobbiamo rientrare”. continuò il bell’alpino. “Come vi trovate?” aggiunse il signore così distintamente vestito. “Ah, adesso che è andato via il Colonnello, siamo contenti! Era veramente un rompi... Ora è arrivato un altro; speriamo che sia migliore. Finora, a dire il vero, non ci ha rotto le scatole. Ma lei, scusi, è un rappresentante di commercio?” chiese curiosamente il viaggiatore occasionale. Ma non ci fu risposta a questa domanda.Lungo la tenebrosa via Pontebbana, mentre il Scescè spifferava vita, morte e miracoli della caserma “La Marmora”, Ugo, indagatore per natura, scrutava l’ambiente in cui si trovava e, sempre nel buio, gli sembrò di notare qualcosa di familiare... Eh, sì, quello era certamente un cappello d’alpino. “Chissà - pensò Ugo - sarà stato ad un’adunata di Alpini !” , ma non del tutto persuaso, cercò con attenzione di osservare meglio il cappello, alla luce della prima lampada elettrica che fosse capitata nella strada, per scoprire il colore della penna. E quando la luce fece emergere una penna di colore bianco, ci fu il crollo di tutte le forze che questo ragazzone aveva addosso. Se la penna era bianca significava che la persona che era con loro era nientemeno che un Colonnello. Il loro Colonnello? Cercò allora di fissare bene il viso dell’autista per riconoscere nella fisionomia il nuovo comandante, appena arrivato. Lo aveva visto una o due volte... Allo sguardo attento : “Sì è lui, proprio lui!. Che fare?“. Intanto Scescè snocciolava tutto quello che sapeva sulla caserma anche se a quei tempi era rigorosamente proibito di parlarne. Ugo, inizialmente, lo toccò con discrezione per attirare la sua attenzione, ma il compagno era ormai diventato il megafono  della caserma “La Marmora”. Allora Ugo tentò l’ultima via; si accostò piano all’orecchio dell’amico e gli sussurrò : “Iout, al è il Colonel da noste caserme!”. Al che il nostro Scescè improvvisamente ammutolì e non parlò più fino a Tarvisio. Molto probabilmente, la bella barba nera di Scescè cominciò a ingrigire in quest’occasione sfortunata. Quando furono vicini alla caserma, Scescè con delicatezza, rivolto all’autista , disse: “Noi siamo arrivati !”. “Anch’io!”  rispose il cortese accompagnatore ed in quel mentre si alzava la sbarra d’entrata e una sentinella scattava sull’attenti. Il Colonnello abbassò il finestrino e disse al tenente di picchetto: “Prendi i nomi di questi due furbi!”, e rivolgendosi ai due menzionati: “Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi  e domani a rapporto!” L’indomani, accompagnati dal Capitano, i nostri due amici si recarono dal Colonnello mestamente; ebbero un unico scatto al momento di mettersi sull’attenti e poi tornarono mogi mogi in un batter d’occhio quando il comandante ordinò il riposo. Questi allora parlò: “Siete i più simpatici trasgressori che abbia finora trovato, ma...cosa devo fare per punirvi?”. Quasi all’unisono i due amici risposero: “Ci dia il meno possibile!”. Ciò volle dire tre giorni di C.P.S.Da quel giorno si instaurò fra i tre Alpini un bel rapporto di stima e di simpatia. Anche questo modo di fare fa parte dell’inimitabile stile e spirito Alpino!

                                                                             Emanuele Plazzotta  

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